La via europea per l’intelligenza artificiale: punta a guadagnarsi uno spazio – ancora libero e percorribile -legato all’economia sociale

Nella narrativa globale, si dice che le grandi innovazioni nascano negli Stati Uniti, la potenza di sviluppo e implementazione risieda in Cina, mentre L’Europa sia legata a una tendenza alla normazione, alla regolamentazione. Se ne è discusso oggi al Festival dell’economia di Trento in un panel che ha visto coinvolti relatori e relatrici legate al mondo dell’innovazione digitale, della geopolitica e del diritto europeo. A emergere, la ricerca di una “terza via” europea e sociale all’innovazione, la necessità di investimenti e progettualità di scala e – a livello italiano – la fondamentale tutela dell’identità e del Made in Italy.

Che l’Europa ponga una particolare attenzione alla regolamentazione delle novità, sembra confermato dalla messa a punto in questi giorno dell’IA Act, prima norma al mondo sull’intelligenza artificiale che troverà applicazione a brevissimo. Una legge, come ricorda Roberto Viola – direttore Generale per le politiche digitali della Commissione europea – che nasce da istanze concrete, per proteggere dai rischi cittadine e cittadini ma anche le imprese stesse, evitando che 27 paesi sanciscano e applichino al loro interno regolamentazioni differenti. Un approccio, quello basato sulla valutazione del rischio, che ha convinto Consiglio d’Europa, Onu e i partner.

Un regolamento dirompente, come sottolinea Francesco Sciaudone, esperto in diritto europeo e antitrust, che avrà effetto diretto immediato e coinvolgerà persone sia  fisiche e che giuridiche, in un’ esperienza coraggiosa e da pionieri che si spera possa fare scuola anche all’esterno dei confini, come già avvenuto in passato attraverso il fenomeno conosciuto come “effetto Bruxelles”.

Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano evidenzia invece come l’Europa debba dare una spinta più decisa dal punto di vista degli investimenti, focalizzando le risorse e concentrando gli sforzi rispetto a una dimensione di cambiamento che richiede scala. In particolare, come Italia sarà importante tutelare il Made in Italy, una sapienza ancora non codificata su base dati e per questo a rischio.

Positivo sul futuro è l’intervento di Uljian Sharka, tra i pionieri dell’AI in Italia, che propone di considerare un approccio più pragmatico alla scalata europea all’innovazione. Una metodologia che non si ponga all’inseguimento delle politiche altrui, ma che parta dalla sensibilizzazione delle fondamenta, le imprese e le industrie di punta. Obiettivo, “agganciare” il tavolo dei grandi per arrivare poi a crescere e competere, ponendo al centro l’attenzione tutta europea ai diritti umani e alla conoscenza. Un approccio originale quello dell’Europa, con cui è d’accordo anche Agostino Scornajenchi, amministratore delegato e direttore generale di CDP Venture Capital SGR. Tra la linea americana più proiettata verso il guadagno e quella cinese che considera la tecnologia uno strumento per allargare il proprio dominio, l’Europa punta a guadagnarsi uno spazio – ancora libero e percorribile -legato all’economia sociale. A patto di aumentare e focalizzare gli investimenti, soprattutto sui giovani e i ricercatori italiani, sulle startup e sull’identificazione di un campione nazionale.

Conclude con uno sguardo ancora più ampio Marta Dassù, senior advisor european affairs, Aspen Institute, che individua ed esplicita la centralità dell’IA per la competizione geopolitica, con un’Europa in affanno nel campo dell’approvvigionamento di energia (particolarmente importante per lo sviluppo e l’applicazione dell’IA) e sfavorita nell’acquisto rispetto alle altre superpotenze in gioco. Dessù ha inoltre spostato l’attenzione su quanto l’IA sia al centro di due problematiche legati alla sicurezza, a livello interno ma anche in campo militare. Due aspetti da tenere ben monitorati e sui quali essere pronti a intervenire.

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