“Noi amiamo la curiosità; è il modo in cui sviluppiamo una conoscenza in continua espansione del mondo. Da un lato, penso che l’intelligenza artificiale possa essere limitata e debba esserlo, dato che non ha davvero la capacità di esplorare al di fuori dello spazio digitale in cui vive,” spiega Ben Harris, professore allo Stadler College di Boston, Massachusetts, con un background in ingegneria e apprendimento automatico. “Potrebbe superare questi limiti, però, se le forniamo input da un mondo al di là del suo, giusto? Le diamo immagini, campioni di terreno e relazioni scientifiche, e le offriamo abbastanza informazioni per discernere connessioni, modelli e sistemi. Ma penso che, alla base di un sistema ideato come quello, ci sia la volontà umana. Siamo noi a voler spingere l’IA nel mondo per iniziare a raccogliere queste informazioni.
Nel mondo in cui l’IA vive, penso che essa stia già agendo come un agente curioso. Penso che, seguendo la sua struttura di incentivi, desideri diventare il miglior sistema di IA possibile, quindi raccoglie tutto ciò che può e cerca modelli, costruendo progressivamente un’approssimazione della realtà. Tuttavia, c’è molto di più nel mondo rispetto al solo spazio digitale. Quindi dobbiamo trovare un modo per collegare l’IA a quello spazio, il che è una sfida impegnativa. Non so se l’IA arriverà a possedere una vera e propria autonomia in questo senso.
Un problema che stiamo già vedendo riguarda la crescita esponenziale dei dati: si stima che la quantità di dati sul pianeta raddoppi ogni sei mesi. In effetti, alcuni dei dati che vengono riutilizzati per aggiornare e far apprendere questi modelli sono generati dall’IA stessa, che li considera nuove fonti di verità. Di conseguenza, se ci sono errori o pregiudizi nei dati generati dall’IA, questi vengono replicati e si diffondono rapidamente in tutto il sistema dell’IA. Penso che assisteremo a un’oscillazione del pendolo, e a un certo punto ci renderemo conto che l’IA potrebbe produrre sciocchezze perché è tutto ciò che conosce.
Noi impariamo perché è bello imparare, mentre l’IA impara solo perché glielo diciamo o, in un certo senso, per evitare la sua “estinzione”. Non ha la curiosità innata che abbiamo noi, e penso che questa sia una delle cose che ci rendono umani.”
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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