L’egemonia scientifica e tecnologica degli Stati Uniti, che per decenni ha rappresentato una delle principali leve del potere globale americano, è oggi messa seriamente in discussione dalla Cina. È quanto emerge dalle dichiarazioni di Catherine Austin Fitts, economista ed ex funzionaria del Dipartimento della Casa e dello Sviluppo Urbano degli Stati Uniti, che richiama l’attenzione su uno studio australiano realizzato dopo l’11 settembre per monitorare i settori tecnologici strategici per la sicurezza nazionale.
Lo studio in questione, sviluppato dal governo australiano, tiene traccia di 64 tecnologie considerate chiave, tra cui l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica, i materiali avanzati, le biotecnologie e la robotica. Fitts sottolinea che nel 2008, all’inizio della crisi finanziaria globale, gli Stati Uniti erano in testa in ben 60 di queste 64 aree. Un primato che sembrava inamovibile e che rafforzava il ruolo globale del complesso scientifico-industriale americano. Ma la situazione, a distanza di quindici anni, si è radicalmente capovolta: oggi, la Cina guida ben 57 delle 64 tecnologie monitorate. E secondo le proiezioni contenute nello studio, è solo questione di tempo prima che superi gli Stati Uniti anche nelle restanti sette.
“È spaventoso”, commenta Fitts. “Non perché i cinesi non credano in Dio, come qualcuno potrebbe insinuare, ma perché sono estremamente concentrati sull’eccellenza scientifica. Hanno una popolazione numerosa, una massa critica di ingegneri e una comunità scientifica determinata e ben coordinata.”
Secondo Fitts, il vero errore strategico degli Stati Uniti è stato quello di cedere la leadership dell’innovazione al settore privato in cambio della promessa – mai mantenuta – di dominare il mondo tecnologico. “Abbiamo detto a un intero ecosistema di aziende: ‘Vi daremo un monopolio, vi lasceremo diventare miliardari, purché ci promettiate il dominio globale’. Il risultato è stato la creazione di duopoli e monopoli, di pochi super-ricchi, mentre si è perso di vista l’obiettivo centrale: la supremazia tecnologica.”
Il rischio, secondo l’analisi, è che il modello occidentale di innovazione, oggi guidato da grandi interessi finanziari e da una visione a breve termine, non sia più competitivo di fronte a un sistema come quello cinese, dove il coordinamento tra Stato, università e industria avviene in modo centralizzato e con una visione strategica di lungo periodo.
“Adesso – continua Fitts – ci chiedono trilioni di dollari in investimenti pubblici, sostenendo che con quelli riconquisteremo il primato perduto. Ma io non credo che accadrà.”
Le parole di Catherine Austin Fitts suonano come un campanello d’allarme per l’Occidente: la Cina non solo ha colmato il divario tecnologico, ma ha già assunto la leadership in settori chiave dell’innovazione. E lo ha fatto con una visione sistemica, mettendo al centro della propria strategia la formazione scientifica, l’investimento nella ricerca e il controllo delle tecnologie strategiche. Mentre l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, devono fare i conti con un modello di sviluppo sempre più dominato da logiche finanziarie e da interessi privati che rischiano di compromettere il futuro stesso della supremazia tecnologica.
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