“Non rifiuto dell’IA, ma riconoscimento quando viene usata”, per la conservazione dell’intelligenza umana, John Nosta

In un’epoca di rapida trasformazione digitale, in cui l’intelligenza artificiale sembra destinata a infiltrarsi in ogni angolo del pensiero umano, John Nosta – teorico dell’innovazione e fondatore di NostaLab – lancia un monito controcorrente: “Questo momento non richiede il rifiuto dell’IA; richiede il riconoscimento”. Parole che disegnano un perimetro nuovo di riflessione, in cui la sfida non è più solo tecnologica, ma profondamente culturale.

Nosta invita a sviluppare una nuova forma di alfabetizzazione, capace di andare oltre la comprensione tecnica dei sistemi intelligenti. Serve un’alfabetizzazione epistemica, che consenta di interrogarsi su cosa viene realmente sostituito quando l’intelligenza artificiale entra nei processi cognitivi, nelle decisioni, nei giudizi. In altre parole, non basta sapere come funziona un algoritmo; è fondamentale capire cosa perde significato – o addirittura scompare – nel momento in cui deleghiamo a una macchina una porzione della nostra coscienza critica.

In questa prospettiva, l’innovazione non è necessariamente sinonimo di accelerazione. “Forse l’obiettivo ora non è accelerazione, ma conservazione”, osserva Nosta. Un’affermazione che ribalta la retorica dominante, fatta di record, prestazioni, superamenti continui. Invece di correre per tenere il passo con le macchine, dovremmo – secondo lui – imparare a rallentare, a riconoscere il valore degli attriti cognitivi: i ritardi, i dubbi, le pause. Quelle che oggi spesso vengono considerate inefficienze sono, paradossalmente, “segni di vita”.

È in questa crepa che si apre una possibilità: la frattura silenziosa che molti avvertono nel rapporto sempre più pervasivo con l’intelligenza artificiale potrebbe non essere un segnale di pericolo, ma un invito. Un terreno da esplorare, con attenzione e lucidità, per evitare di perderci in un paradigma dove l’umano diventa appendice del calcolo.

“La vera posta in gioco – spiega Nosta – è l’era cognitiva, è ciò che è possibile”. Ma questa possibilità può essere compromessa da ciò che lui definisce “anti-intelligenza”, ovvero l’uso dell’IA come scorciatoia, come delega indiscriminata del pensiero. Riconoscere questa tensione, senza demonizzare la tecnologia, è secondo lui la chiave per non tradire la promessa originaria dell’IA: non sostituire la mente umana, ma arricchirla, stimolarla, renderla capace di visioni più ampie.

Nel momento storico in cui l’IA promette di ridefinire conoscenza, creatività e decisione, le parole di Nosta richiamano all’essenziale: non un elogio della lentezza fine a sé stessa, ma un invito a costruire un futuro dove l’intelligenza – quella vera – abbia ancora spazio per formarsi, contraddirsi, evolvere.

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