Il presente non basta a nessuno, sostanzialmente. Siamo esseri che andiamo a dormire la sera con un sogno e ci svegliamo la mattina con un desiderio”, spiega padre Benati. “Fino a ieri il nome di tutto questo era utopia, se vuoi: un posto che non c’è, qualcosa che ci spinge verso il domani, qualcosa da realizzare. La pandemia e forse anche oggi la guerra ci hanno detto che l’utopia non ci basta più. Allora ecco che nascono posti come Prospera, quest’isola perfettamente costruita e gestita in Honduras, una sorta di paradiso terrestre con il massimo della tecnologia per pochissimi ricchi, fatta da architetti di Archistar. Oppure, in alternativa, e questa è una Plutopia, cioè un sogno per i ricchi, ci sono posti come il Metaverso, che sono un’atopia, cioè un futuro senza posto, senza corpo. A quel punto tocca capire se questo sogno è veramente un sogno o un incubo, se questo luogo che vogliamo costruire è abbastanza per contenere il nostro desiderio, il nostro sogno e tutto quello che ci caratterizza.
Leffetto terra promessa in qualche maniera io l’ho chiamato l’effetto paradiso, che è un po’ quello che ci stiamo dicendo: cercare di ricreare questa scintilla di divino che l’uomo ha dentro di sé, una realtà utopica in qualche modo. Quindi questo effetto terra promessa, questo effetto paradiso, dove appunto c’è la possibilità di creare una realtà perfetta, va un po’ in contrasto con la realtà perfettibile, in cui viviamo. Dobbiamo, in qualche maniera, sforzarci psichicamente, cioè attivamente, per perfezionare la nostra vita e migliorare la qualità della nostra vita. Il metaverso non rischia un po’, secondo te Paolo, di sottrarci il tempo e l’energia necessarie per coltivare la nostra vita di tutti i giorni, quella tangibile? Non rischia un po’ di portarci via e quindi di togliere tempo ed energie necessarie per coltivare la nostra esistenza sulla Terra?
C’è questa canzone che si chiama San Damiano, molto francescana, che dice che la felicità si costruisce passo dopo passo, pietra dopo pietra, e che il viaggio è parte stessa della felicità, parte stessa della trasformazione. E questo, secondo me, è molto umano: ogni donna e ogni uomo fanno questo viaggio fatto di passi, dove per alcuni la meta è il viaggio stesso. È chiaro che però c’è una tentazione fortissima: quella di prendere una scorciatoia, di realizzare tutto con una bacchetta magica, di poter plasmare e riplasmare l’esito di alcune scelte che a volte invece ci inchiodano su presenti che non sopportiamo più.
Ti direi da Francescano che, secondo me, l’idea è quella di non giudicare chi cerca delle soluzioni per galleggiare in condizioni in cui sta più o meno bene, ma di ricordarci che comunque c’è un domani, c’è uno spazio, c’è ancora un passo possibile da fare per ciascuno di noi, ovunque noi siamo. Questo però può essere anche un luogo di possibilità e non solo di rischi. Non vorrei sembrare uno che guarda solo la parte negativa, perché può essere anche un luogo di relazioni facilitate: persone ferite dalle relazioni, persone che hanno problemi con l’accettare sé stesse o gli altri, persone per cui la dinamica relazionale risulta meno problematica, potrebbero trovare una sorta di spazio di guarigione all’interno di questa realtà semplificata”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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