“I grandi modelli linguistici hanno prodotto risposte fluide, hanno riassunto volumi di contenuti e hanno offerto risposte sorprendentemente articolate che hanno fatto appello sia al mio cuore che alla mia testa. Ma sotto la superficie, qualcosa di sottile e difficile da definire ha iniziato a prendere piede, almeno per me. È stato un silenzioso cambiamento nel modo in cui il pensiero veniva percepito”, denuncia John Nosta, teorico dell’innovazione e fondatore di NostaLab.
“Il problema non era tecnico. I risultati erano impressionanti, spesso evocando un fugace senso di realizzazione, persino di gioia. Eppure ho iniziato a notare una sorta di spostamento cognitivo. L’attrito che un tempo accompagnava l’ideazione, come le false partenze, i ripensamenti e il disagio produttivo, ha iniziato ad attenuarsi, se non a scomparire del tutto. Quello che un tempo era un prurito intellettuale che implorava di essere grattato ora non c’è più.
Al suo posto, l’IA offriva risposte troppo chiare, troppo veloci e inquietantemente fluide. Per quanto curioso, mi sentivo come se la mia mente fosse stata prevaricata. Non si trattava di assistenza; era il lento dissolversi dei confini cognitivi, e i risultati, seppur brillanti, erano insipidi come solo la perfezione può essere.
Ora, questo cambiamento invita a uno sguardo più approfondito sul funzionamento di questi modelli. Il loro potere risiede nella fluidità predittiva e non nella comprensione, ma nell’organizzazione delle idee in un misterioso costrutto statistico. La sua architettura – atemporale e iperdimensionale – non riflette il funzionamento effettivo della mente umana.
“Anti-intelligenza”
Ed è qui che una nuova idea inizia a prendere forma. Ho iniziato a chiedermi se non si trattasse semplicemente di intelligenza artificiale, ma di qualcosa di strutturalmente diverso, non semplicemente complementare alla cognizione umana, ma antitetico. Qualcosa che potremmo chiamare “anti-intelligenza”.
È importante capire che questa non è intesa come una sorta di frecciatina retorica, ma come una distinzione concettuale. L’anti-intelligenza non è ignoranza, né malfunzionamento. Comincio a pensare che sia l’inversione dell’intelligenza come la conosciamo. L’IA replica le caratteristiche superficiali come il linguaggio, la fluidità e la struttura, ma bypassa il substrato umano del pensiero. Non c’è intenzione, dubbio, contraddizione o persino significato. Non si oppone al pensiero; fa sembrare il pensiero superfluo.
Questo diventa un problema culturale e cognitivo quando l’anti-intelligenza viene implementata su larga scala. Nell’istruzione, gli studenti presentano saggi generati dall’IA che imitano la competenza ma non contengono alcuna traccia di conflitto interiore. Nel giornalismo, i sistemi di IA possono assemblare interi articoli senza mai chiedersi perché qualcosa sia importante. Nella ricerca, il confine tra sintesi e simulazione si assottiglia. Non si tratta di sostituire posti di lavoro, ma di sostituire la “vibrazione cognitiva” umana con prestazioni meccanicistiche.
Da questo costrutto emerge un nuovo tipo di preoccupazione distopica: l’annientamento semantico. Non si tratta della vecchia crisi della disinformazione, ma del paradosso della sovrainformazione. La coerenza – un tempo segnale di verità, intuizione o comprensione – diventa così abbondante, generata così spontaneamente, che inizia a perdere la sua rilevanza cognitiva. In questo contesto, la coerenza non è più un indicatore di significato, ma un artefatto statistico, un linguaggio che suona semplicemente giusto.
Quando l’intuizione viene prodotta istantaneamente, senza sforzo, riflessione o costrizione, può diventare indistinguibile dall’imitazione – o, come avvertì Arthur C. Clarke, dalla magia. Il terreno che un tempo richiedeva esplorazione, incertezza e rischio intellettuale diventa una pianura liscia e priva di attriti che, pur essendo ampia e levigata, è cognitivamente vuota”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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