La nuova frontiera del biocomputing arriva dalla ricerca di Thomas Hartung, professore di salute e ingegneria ambientale presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health e la Whiting School of Engineering di Baltimora. Ha iniziato a coltivare organoidi cerebrali modificando campioni di pelle umana nel 2012.
“I recenti progressi negli organoidi cerebrali derivati da cellule staminali umane promettono di replicare aspetti molecolari e cellulari critici dell’apprendimento e della memoria e possibilmente aspetti della cognizione in vitro”, scrive nella sua ultima fatica. “Coniando il termine “intelligenza organoide” (OI) per comprendere questi sviluppi, presentiamo un programma collaborativo per implementare la visione di un campo multidisciplinare di OI. Questo mira a stabilire l’OI come una forma di vero calcolo biologico che sfrutta gli organoidi cerebrali utilizzando i progressi scientifici e di bioingegneria in modo eticamente responsabile. Gli organoidi cerebrali standardizzati, 3D e mielinizzati possono ora essere prodotti con un’elevata densità cellulare e livelli arricchiti di cellule gliali ed espressione genica fondamentali per l’apprendimento. I sistemi di perfusione microfluidica integrati possono supportare la coltura scalabile e duratura e la segnalazione chimica spaziotemporale. I nuovi array di microelettrodi 3D consentono la segnalazione e la registrazione elettrofisiologica spaziotemporale ad alta risoluzione per esplorare la capacità degli organoidi cerebrali di ricapitolare i meccanismi molecolari dell’apprendimento e della formazione della memoria e, in definitiva, il loro potenziale computazionale. Sono in fase di sviluppo tecnologie che potrebbero abilitare nuovi modelli di biocomputing tramite addestramento stimolo-risposta e interfacce organoide-computer.
Prevediamo interfacce complesse e in rete in cui gli organoidi cerebrali sono collegati con sensori e dispositivi di output del mondo reale e, in ultima analisi, tra loro e con organoidi di organi sensoriali (ad esempio organoidi retinici) e vengono addestrati utilizzando biofeedback, immagazzinamento di big data e apprendimento automatico metodi. Parallelamente, sottolineiamo un approccio etico integrato per analizzare gli aspetti etici sollevati dalla ricerca OI in modo iterativo e collaborativo coinvolgendo tutte le parti interessate. Le numerose possibili applicazioni di questa ricerca sollecitano lo sviluppo strategico dell’OI come disciplina scientifica. Prevediamo che i sistemi di bioinformatica basati su OI consentano un processo decisionale più rapido, un apprendimento continuo durante le attività e una maggiore efficienza energetica e dei dati. Inoltre, lo sviluppo di “intelligence-in-a-dish” potrebbe aiutare a chiarire la fisiopatologia di devastanti malattie dello sviluppo e degenerative (come la demenza), aiutando potenzialmente l’identificazione di nuovi approcci terapeutici per affrontare i principali bisogni globali insoddisfatti”.
Qui la ricerca completa: https://www.frontiersin.org/journals/science/articles/10.3389/fsci.2023.1017235
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