“Per la maggior parte di noi, il modo in cui lavoriamo cambierà”, ha detto Brad Smith, presidente e vicepresidente di Microsoft (MSFT) a “Face the Nation” della CBS. “Questo sarà un nuovo set di abilità che dovremo, francamente, sviluppare e acquisire.”
Gli usi dell’intelligenza artificiale sono quasi “onnipresenti”, ha detto Smith, “nella medicina e nella scoperta di farmaci e nella diagnosi di malattie, nel rimescolare le risorse, ad esempio, della Croce Rossa o di altri in un disastro per trovare coloro che sono più vulnerabili dove gli edifici sono crollati”, il dirigente aggiunto.
Benvenuti nell’era dell'”IA generativa”. La resistenza è inutile
“Il tema dell’Intelligenza Artificiale (IA) è uno dei più dibattuti, a partire dalla comunità scientifica, fino a quella filosofica e quella economica. L’argomento suscita le attenzioni di professionisti con i più ampi background formativi possibili, poiché è una tematica che promette di sconvolgere a 360 gradi il nostro modo di interfacciarci con la realtà”, sostiene Ateneo Impresa.
“Non dobbiamo dimenticare, però, che è l’uomo a programmare il software cui l’intelligenza artificiale fa riferimento, per cui abbiamo davanti a noi un lavoro enorme per cercare di ridurre il più possibile i bias, insiti nell’uomo, che rischiano uno spillover nel software stesso.
I timori sono giustificati se si pensa che la metà delle attività lavorative di oggi potrebbe essere automatizzata entro il 2055. Qualsiasi tipo di lavoro è soggetto a una automazione parziale ed è partendo da questa considerazione che nel report A Future That Works: Automation, Employment and Productivity, realizzato da McKinsey Global Institute – MGI (un report di 148 pagine, disponibile sul sito del World Economic Forum di Davos, dove è stato ufficialmente presentato nello scorso gennaio), si stima che circa la metà dell’attuale forza lavoro possa essere impattata dall’automazione grazie alle tecnologie già note e in uso oggi”.
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