“La generazione di giornalisti di cui faccio parte rischia di commettere lo stesso errore che commettemmo, e mi dispiace dirlo, soprattutto nell’azienda, nel ruolo, nel posto dove lavoro io, cioè alla RAI: non capire la rivoluzione digitale, attardarsi su posizioni di retroguardia o autodifesa, anche in un ruolo sociale e professionale, illudendoci di poter frenare il cambiamento”, denuncia Giorgio Zanchini al convegno “L’algoritmo al servizio dell’uomo. Comunicare nell’epoca dell’intelligenza artificiale”.
“Questo errore, soprattutto alla RAI, l’abbiamo commesso, ma direi che sia stato il sistema della stampa italiana ad averlo commesso. Si rischia di commetterlo nuovamente con l’intelligenza artificiale perché molti di noi, incluso il sottoscritto, ancora la usano molto poco nel campo dell’informazione e nella propria quotidianità professionale. Si rischia di pensare che sia semplicemente un’evoluzione o un incremento, un approfondimento dell’informatica che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, ma non è coinvolta in quella rivoluzione di cui, peraltro, ci parlerà il professor Rasetti, che è anche una rivoluzione antropologica.
È una grande sfida quella che l’intelligenza artificiale pone all’informazione, alla comunicazione e, in secondo luogo, all’etica.
Occorre mettere l’accento sulla volontà e sulla capacità dell’uomo, dell’essere umano e, più in particolare, del giornalista, di gestire i processi.
C’era una vecchia espressione di Umberto Eco, la ricorderete quando si affermò la rivoluzione tecnologica nel campo dei mass media di qualche anno fa, che diceva: ‘È inutile fingere che l’uomo possa governare la macchina o impedire alla macchina, intesa come tecnostruttura, di procedere secondo una direzione probabilmente nemmeno prefissata che la tecnostruttura, in ogni caso avanzante, prende. Ma bisogna essere liberi rispetto alla macchina’.”
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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