Firenze: errore processuale dovuto all’intelligenza artificiale a causa di riferimenti giurisprudenziali inventati da ChatGPT

Il procedimento penale riguardava la tutela dei diritti d’autore e del marchio, il dibattito si è svolto lo scorso marzo a Firenze.

“Nel contesto di un procedimento per contraffazione e plagio di vignette satiriche stampate su t-shirt, il ricorrente aveva agito anche contro i rivenditori, chiedendo l’estensione delle misure cautelari concesse contro i produttori. Una delle parti resistenti, pur sostenendo l’assenza di mala fede, ha depositato una memoria difensiva contenente riferimenti giurisprudenziali inventati, generati da una collaboratrice tramite ChatGPT. Il Tribunale ha preso atto dell’accaduto, riconoscendo che l’uso dell’IA aveva portato a un errore materiale, ma ha anche rilevato il mancato controllo da parte del difensore”, spiega l’avv. Stefano Nardini.

Scrive il giudice nella sentenza: ” A seguito delle note all’uopo autorizzate (occorre peraltro specificare come non possano essere considerate le parti inerenti al merito della vertenza inserite nella nota di replica depositata dal reclamante, essendo le note state espressamente autorizzate “sulla sola questione inerente i precedenti giurisprudenziali oggi contestati”, altrimenti ledendo il principio del contraddittorio), il difensore della società costituita ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali citati nell’atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell’intelligenza artificiale “ChatGPT”, del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. L’IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti ma che, anchea seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all’aspetto soggettivo dell’acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento. La reclamata, pur riconoscendo l’omesso controllo sui dati così ottenuti, ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva.

Sul punto, il reclamante ha rilevato l’errore di verifica della veridicità delle ricerche effettuate e, sottolineando l’abusivo utilizzo dello strumento processuale, ha chiesto la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. per aver in questo modo influenzato la decisione del collegio.

Occorre rilevare come l’indicazione di tali riferimenti giurisprudenziali sia stata posta a fondamento della tesi ab origine sostenuta dalla Co , proposta quindi a supporto di una struttura difensiva rimasta immutata sin dal primo grado del giudizio ed oggettivamente non finalizzata ad influenzare il collegio, appuntandosi piuttosto su quanto già indicato, in senso analogo, anche nelle decisioni di prime cure, in ordine all’assenza dell’elemento soggettivo della malafede dei dettaglianti, elemento sulla base del quale non sono state a loro estese le misure cautelari.

In particolare, quanto all’applicazione del comma 1 del cit. art. 96 c.p.c., in linea generale si ritiene che abbia natura extracontrattuale, poiché “richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa” (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 9080 del 15 aprile 2013) e, “pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni” (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013).

In applicazione di tali principi nel caso di specie, la domanda non può essere accolta, in quanto il reclamante non ha spiegato alcuna allegazione, neppur generica, dei danni subìti a causa dell’attività difensiva espletata della controparte.

Questo tribunale ritiene del pari non applicabile il comma 3 dell’art. 96 c.p.c., la cui ratio deve individuarsi nel disincentivare l’abuso del processo o comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia ed in genere al rispetto della legalità sostanziale; tale fattispecie deve inoltre intendersi come species dei primi due commi, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall’abusività della condotta processuale.

Ora, fermo restando il disvalore relativo all’omessa verifica dell’effettiva esistenza delle sentenze risultanti dall’interrogazione dell’IA, Co     sin dal primo grado ha fondato la sua propria strategia difensiva sull’assenza di malafede nell’aver commercializzato le magliette raffigurante le vignette di  CP_3  elemento che poi si era già trovato nel decreto emesso inaudita altera parte eche ha trovato riscontro anche nella successiva ordinanza cautelare. L’indicazione di estremi di legittimità nel giudizio di reclamo ad ulteriore conferma della linea difensiva già esposta dalla Co  si può quindi considerare diretta a rafforzare un apparato difensivo già noto e non invece finalizzata a resistere in giudizio in malafede, conseguendone la non applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 96 c.p.c..”

“Il caso affrontato dal Tribunale di Firenze non è solo un monito, ma anche un’opportunità di crescita. L’intelligenza artificiale, se usata consapevolmente, può diventare un valido alleato del giurista. Tuttavia, la supervisione umana rimane imprescindibile.

Sta a noi, professionisti del diritto, tracciare la rotta. Non basta conoscere la tecnologia: serve guidarla. E farlo con coscienza.

La giustizia non può permettersi automatismi: ogni informazione va controllata, ogni fonte confermata. Perché nel diritto, la tecnologia è solo uno strumento. La responsabilità resta tutta umana”, conclude Nardini.

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI FIRENZE

TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE SEZIONE IMPRESE

 

Il Tribunale delle Imprese, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati: dott. Alessandro Ghelardini    Presidente

dott.ssa Laura Maione                                                             Giudice

 

dott.ssa Stefania Grasselli                                                       Giudice relatore nel procedimento per reclamo iscritto al n./2024 R.G. promosso da

               Parte_1              

 

        Controparte_1       

 

 

ALTRI

contro

RECLAMANTE

  

RECLAMATI

 

avente ad oggetto: Sequestro (art. 129 c.p.i.)  ha emesso la seguente

ORDINANZA

Con ricorso depositato l’11.06.2024, il reclamante, premesso di essere titolare del

marchio italiano      CP_2      ” n. 302021000009920, caratterizzato dalla realizzazione

grafica di una bocca e due occhi che corrispondono al disegno stilizzato di un carrello della spesa capovolto,inscritto all’interno di un cerchio sotto al quale appare

il nome      CP_2      ”, nonché del relativo domain name del sito web e di essere autore

di una serie di vignette che rappresentano in chiave satirica vari noti prodotti commerciali, ha lamentato di aver scoperto che dette vignette sono state utilizzate senza alcuna autorizzazione. Inparticolare, ha dedotto che   Parte_2   (d’ora in poi Pa ), su t-shirt da lei prodotte con etichetta           e, talvolta, con ilmarchio

  Parte_4  di proprietà di   Persona_1   , titolare di di   Persona_1   ,

ha stampato le suddette vignette     CP_2      , a volte prive dell’indicazione del marchio e le ha poi vendute tramite rivenditori o dettaglianti.

  CP_3 ha quindi chiesto:

  • il sequestro ex 161 l.d.a. e 129 c.p.i. di tutti i prodotti di contraffazione,
  • il sequestro probatorio ex 156 bis l.d.a. e 121 c.p.i. delle scritture contabili e di ogni altro documento utile a determinare l’entità dell’illecito e del danno,
  • in via subordinata, la descrizione di tutte le t-shirt riproducenti le vignette

     CP_2     ,

  • la distruzione dei prodotti frutto del plagio / contraffazione, ex 158 l.d.a. e 124 c.p.i.,
  • l’inibizione alla prosecuzione dell’illecito, con fissazione di idonea penale per il ritardo nell’esecuzione del divieto,
  • la pubblicazione del

Con decreto di fissazione udienza del 12.07.2024 il giudice di prime cure ha concesso

inaudita altera parte alcune delle misure cautelari richieste; in particolare, ha autorizzato il sequestro, presso Pa e  di tutti i prodotti recanti vignette contenenti il marchio

  CP_2   ” e del relativo materiale pubblicitario ed ha autorizzato la descrizione dei prodotti sequestrati e di tutta la documentazione contabile relativa alle magliette di cui al ricorso.

Si sono costituiti  Controparte_4 , titolare dell’impresa individuale Matildesign,  […] 

  CP_5  titolare dell’impresa individuale                                               (d’ora in poi Co ), rilevando di aver acquistato alcune magliette in totale buona fede, ossia non sapendo nulla del marchio del ricorrente. Nessun altro convenuto si è costituito.

Nel corso del giudizio  CP_3  ha raggiunto accordi transattivi non solo con le resistenti costituite  Controparte_4  e   Controparte_5  così rimanendo in causa solo Co , ma anche con altri resistenti rimasti contumaci, rispetto ai quali il giudice ha dichiarato il non luogo a provvedere.

La causa è stata istruita documentalmente e con ordinanza del 16.09.2024 il giudice di prime cure, diverso da quello che aveva emesso il decreto inaudita altera parte in considerazione della variazione tabellare vigente nel periodo feriale, ha parzialmente modificato il precedente decreto:

ha confermato il sequestro e la descrizione nei confronti di Pa e  di tutte le maglie riproducenti le opere di  CP_3 caratterizzate dal marchio       CP_2      e anche di quelle in cui non compare il marchio       CP_2      ,

  • ha confermato      la      descrizione      della      contabilità      relativa      alla commercializzazione delle suddette magliette;

ha disposto, a carico di Pa  e , il divieto di pubblicizzare, produrre, distribuire e commercializzare prodotti recanti l’immagine delle opere di   CP_3  e il marchio      CP_2      e l’ordine di distruzione immediata di tutti i prodotti sequestrati, fissando delle penali,

  • ha disposto la pubblicazione del dispositivo dell’ordinanza,
  • ha rigettato tutte le altre richieste nei confronti degli altri reclamati dettaglianti;
  • ha infine disposto la refusione delle spese di lite a carico del ricorrente in favore di […]

  Pt_5  tale ordinanza, comunicata il 17.09.2024,   CP_3  ha proposto reclamo con tempestivo deposito telematico del 02.10.2024 che, tuttavia, non è andato a buon fine, giacché l’avviso di mancata consegna riportava l’errore “5.2.2 – InfoCert S.p.A. – casella piena”. Il deposito si è perfezionato il giorno seguente ed il reclamante ha quindi depositato istanza di remissione in termini, rappresentando come il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile.

 CP_3  ha quindi introdotto il reclamo nei confronti di tutti i resistenti con cui non aveva raggiunto un accordo transattivo, esponendo i seguenti motivi di reclamo:

  1. la violazione del diritto d’autore deve essere riconosciuta da parte di tutti i reclamati, ossia anche dei cd. dettaglianti, poiché accertata la contraffazione autoriale, l’inibitoria deve essere disposta nei confronti di tutti coloro che hanno commercializzato beni contraffatti, a prescindere dal profilo soggettivo della buona fede;
  2. la violazione del diritto di marchio da parte di tutti i reclamati: posto che è

pacifico che il reclamante è titolare del marchio registrato         CP_2      ” n. 302021000009920, caratterizzato dalla rappresentazione grafica di una bocca e due occhi stilizzati, che rappresentano un carrello della spesa capovolto, questo segno distintivo rappresenta anche la “firma”dell’autore, per cui il suo utilizzo, anche mediante la rivendita delle magliette che lo riproducono, costituisce una violazione dei diritti di marchio configurandosi automaticamente come atto di contraffazione;

  • l’inibitoria, la distruzione dei prodotti e l’imposizione delle penali devono essere estese a tutti i resistenti, anche ai rivenditori contumaci, al fine di garantire l’efficacia delle misure cautelari e prevenire la reiterazione della violazione;
  1. la violazione della concorrenza, essendo tutte le parti imprenditori commerciali ed essendo i prodotti confondibili; il reclamante soprattutto ha evidenziato l’agganciamento parassitario in considerazione dellasua notorietà

come influencer;

  1. nei confronti di Co , ne ha contestato la buona fede, assumendo che non si

sia attivata per interrompere l’attività illecita, nonché l’imputazione delle spese di lite;

  1. ha eccepito che, ad eccezione della condanna in favore di Co e della

compensazione delle spese legali nei confronti dei rivenditori rimasti contumaci, il giudice di primo grado non ha deciso sulle spese;

  • quanto al periculum in mora, il reclamante, nell’ottica di una valutazione comparativa degli interessi in gioco, ha sostenuto che a fronte dell’inibitoria per i resistenti della commercializzazione delle merci contraffatte, egli subirebbe un aggravamento del danno patito compromettendo ogni futura possibilità diristoro;
  • ha infine chiesto la sospensione della condanna al pagamento delle spese legali in favore di Controparte_1 disposta dal provvedimento reclamato.

Ritualmente instaurato il contraddittorio con la notifica del reclamo e del decreto di

fissazione d’udienza, si è costituita solo        CP_1      la quale ha contestato ogni addebito ribadendo che:

  • a seguito della notifica del ricorso di primo grado ha immediatamente cessato di vendere tali prodotti ed ha rimosso ogni riferimento sia dal sito e- commerce che dallo stesso negozio;
  • il reclamante non ha in alcun modo provato la prosecuzione della commercializzazione dopo il 2 agosto 2024, data della notifica del ricorso cautelare;
  • non era a conoscenza della contraffazione di tali prodotti, poiché i capi di abbigliamento acquistati         non      riportavano      né                l’etichetta    né      il                    marchio  CP_2     ”.

Co     ha quindi chiesto il rigetto del reclamo e la conferma della condanna al pagamento delle spese.

Con nota del 30.12.2024, il reclamante ha dichiarato di rinunciare all’azione nei confronti di  S.r.l., reclamata non costituitasi in giudizio, essendo intervenuto un accordo transattivo.

All’udienza del 21.01.2025, a seguito della discussione delle parti, il reclamante ha rilevato come i richiami giurisprudenziali indicati nell’avversa comparsa di costituzione fossero inesistenti; il Tribunale ha quindi concesso termini sfalsati alle parti per depositare note scritte sulla sola questione inerente alla citazione dei precedenti giurisprudenziali, riservandosi all’esito per la decisione.

* * * * *

Il reclamante ha chiesto estendersi le misure cautelari disposte in primo grado solo ai danni delle due società produttrici anche nei confronti dei singoli rivenditori rispetto ai quali non è intervenuto un accordo transattivo.

Al fine di accertare la fondatezza della pretesa, è necessario verificare la sussistenza dei requisiti ex lege richiesti per la concessione delle misure cautelari, il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

 

1.     Il fumus boni iuris

È pacifico, in quanto documentalmente comprovato e non contestato, che:

  • Parte_1          è titolare del marchio italiano denominativo – figurativo

  CP_2   ” n. 302021000009920, registrato il 22 giugno 2021;

  •  ha stampato su t-shirt da lei prodotte con etichetta  Parte_2  e, talvolta, con il marchio   Parte_4  di proprietà di   Persona_1   , titolare di  di   Persona_1   , le vignette   CP_2  e le ha poi vendute tramite rivenditori;
  • i dettaglianti reclamati in giudizio hanno rivenduto sul mercato, anche online, le suddette magliette.

Quanto all’imputabilità delle condotte ai due produttori Pa e  nulla quaestio, non essendo  questo  punto  oggetto  di  reclamo  che,  invece,  mira  ad  estendere l’imputazione degli illeciti anche ai singoli rivenditori rimasti contumaci, oltre che alla Co  costituitasi in giudizio.

Con particolare riferimento alla violazione del marchio, confermando sul punto il decreto inaudita altera parte, l’ordinanza di primo grado ha ritenuto non sussistente la relativa violazione.

Ora, dalla disamina della documentazione in atti, è pacifico che delle magliette oggetto di contestazione alcune rappresentino solo le vignette riconducibili al reclamante, mentre altre rechino anche il marchio, come descritto, ossia un carrello della spesa capovolto che rappresenta una bocca e due occhi inscritto all’interno di un cerchio.

Questo tribunale ritiene che la rappresentazione grafica del marchio di titolarità di un altro soggetto configuri attività di contraffazione meritevole di sanzione. Se è vero che il marchio non ha la funzione di individuare il prodotto – in questo caso i capi di abbigliamento – non è altrettanto vero che rappresenta solo un particolaredelle

illustrazioni realizzate da   CP_3  trattandosi comunque della rappresentazione

grafica di un marcio denominativo – figurativo che non potrebbe essere contraffatto se non mediante la sua riproduzione in assenza di autorizzazione da parte del suo titolare.

Si deve quindi riconoscere integrata la fattispecie di contraffazione del marchio esclusivamente con riguardo a quelle magliette che riproducono, oltre alla vignetta, anche il disegno del marchio.

Quanto alla violazione dei diritti d’autore, poi, questo tribunale ritiene che la

condotta plagiaria lamentata da   CP_3  debba essere imputata anche ai singoli

rivenditori che hanno acquistato le magliette riproducenti le vignette del reclamante e che le hanno rivendute sul mercato, anche tramite canali online, con conseguente estensione delle misure di carattere inibitorio, a nulla rilevando la circostanza che questi fossero o non fossero a conoscenza del plagio.

Per vero, anche la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che qualora si accerti la violazione dei diritti morali e patrimoniali d’autore, devono essere considerati solidalmente responsabili, ex art. 2055 c.c., tutti i soggetti che hanno fatto parte della catena distributiva avendo dato ciascuno un contributo rilevante alla condotta illecita complessivamente considerata, ivi compreso, oltre all’autore materiale del plagio, anche il soggetto che abbia commercializzato le opere nell’ambito della propria attività imprenditoriale rientrando nel dovere di diligenza, ex art. 1176 c.c., la verifica che le opere poste in vendita non si palesino plagiarie (cfr. Cass. civ., Sez. I, 26/01/2018, n. 2039).

Non sussiste alcun litisconsorzio necessario passivo tra i soggetti che sono ritenuti a vario titolo co-autori della condotta lesiva; il soggetto leso può ottenere una pronuncia in via d’urgenza contro tutti i soggetti le cui condotte, con diversi contributi, si sono inserite nella catena causale della condotta lesiva, pur se ogni frazione, in sé considerata, non è idonea ad integrare una violazione del diritto d’autore (cfr. Trib. Imprese di Milano, sent. del 23.07.2024).

Si ritiene che il provvedimento inibitorio c.d. puro possa essere esteso anche a soggetti esenti dall’elemento soggettivo della colpa e del dolo, requisito prescritto per la sola tutela risarcitoria, nell’ambito del sistema della responsabilità civile. In altri termini, mentre per il rimedio risarcitorio (art. 158 l.d.a.), in considerazione della natura extracontrattuale di tale responsabilità, la prova dell’elemento soggettivo in termini di dolo o colpa è indispensabile (cfr. Trib. Imprese Bologna, sent. dell’8 Luglio 2021), ai fini della mera tutela inibitoria è sufficiente l’aver posto in essere la violazione di un diritto di utilizzazione economica (art. 156 l.d.a.).

Applicando i suesposti principi al caso che ci occupa, emerge come la non

consapevolezza da parte dei reclamati, tra cui la Co , circa la natura plagiaria degli indumenti venduti sia irrilevante ai fini dell’imputabilità della condotta in termini oggettivi, anche nella presente fase cautelare. Per vero, si ritiene che i singoli commercianti al dettaglio debbano verificare, prima di acquistare e quindi di rivendere un bene, la liceità del prodotto stesso, in ossequio al principio dell’ordinaria diligenza che si pretende da parte di ciascun operatore del settore.

Sebbene l’estensione del riconoscimento della violazione dei diritti d’autore anche nei confronti dei venditori al dettaglio sia sufficiente, ai fini che qui interessano di estendere anche a loro le misure inibitorie, si deve altresì rilevare come, alla luce della documentazione in atti, debbano ritenersi violate anche le norme inerenti alla concorrenza.

L’ordinanza  reclamata  ha  infatti  ritenuto  non  ravvisabile  alcun  rapporto concorrenziale tra  CP_3  e la sua impresa individuale     CP_2      ” da un lato ed i reclamati, sia produttori che riveditori, dall’altro, stante l’assenza di prodotti del reclamante simili a quelli di cui si lamenta la contraffazione.

Occorre  tuttavia  rilevare  che  il  marchio  italiano  denominativo  –  figurativo   CP_2   ” n. 302021000009920 di titolarità di  CP_3  è stato registrato anche per la “classe 25 abbigliamento” e che nel sito web “timidessen” vi è un vero e proprio “reparto t-shirt” ove sono in vendita magliette a maniche corte riproducenti alcune delle  sue  vignette,  ancorché  prive  del  segno  figurativo  del  marchio

Essendo quindi palese la commercializzazione dei medesimi prodotti messi in vendita anche dal reclamante, si deve ritenere integrata, ancorché sulla base della sommaria istruzione del presente procedimento cautelare,anche la condotta di imitazione

servile e di appropriazione di pregi altrui di cui all’art. 2598, nn. 1 e 2, c.c. ai danni del  CP_3 da parte dei due produttori Pa e .

Conclusivamente, si ritiene allo stato sufficientemente fondato il fumus bini iuris

rivendicato dal reclamante anche nei confronti dei dettaglianti, giacché:

  • rispetto ai reclamati contumaci, CP_3  ha provato che questi hanno commercializzato le magliette riproducenti le sue vignette ed il suo marchio;
  • rispetto alla Co che si è costituita in giudizio, questa ha confermato di aver acquistato e commercializzato tali beni, a prescindere poi dal numero di magliette che abbia di fatto venduto,attenendo tale elemento solo all’eventuale richiesta di risarcimento del danno che  CP_3  intenda chiedere in sede di giudizio di merito.

 

2.     Il periculum in mora

Si conferma la sussistenza del requisito del periculum ritenendo di doverlo estendere anche con riferimento all’attività di vendita al dettaglio da parte dei rivenditori, in considerazione degli elementi già indicati in primo grado, quali:

  • l’attualità della condotta, risultando contemporanea la vendita delle magliette;
  • l’estensione territoriale della rivendita non autorizzata delle t-shirts, effettuata anche mediante canali online;
  • la potenziale irreparabilità dei danni

 Sul punto è irrilevante la circostanza sottolineata dalla  di aver, a seguito della notifica del ricorso di primo grado, immediatamente rimosso ogni maglietta nonché ogni riferimento a quell’abbigliamento non solo dal negozio fisico ma anche dallo shop online, avendone addotto la conseguenza che sarebbe venuto meno ogni rischio di reiterazione della loro vendita senza autorizzazione.

Non si può aderire a tale tesi interpretativa giacché la circostanza che la reclamata abbia dismesso la vendita delle t-shirts non esclude l’eventualità che possa riproporle in un secondo momento. Anzi, la tutela che deve essere fornita al reclamante anche pro futuro, al fine di evitare che si ripresentino le medesime situazioni pregiudizievoli che hanno reso necessario ricorrere alle misure cautelari d’urgenza e che sono legate esclusivamente alla discrezionalità di controparte.

Si deve altresì rilevare che gli altri reclamati, rimanendo contumaci, non hanno fornito riscontro alcuno circa la fondatezza o meno delle condotte ai medesimi imputate: a fronte dell’allegazione di  CP_3  della vendita al dettaglio di magliette raffiguranti le sue vignette senza la sua autorizzazione, i reclamati avrebbero dovuto provare l’infondatezza della pretesa, ossia la correttezza delle loro condotte e l’assenza del periculum. Non costituendosi o non concretizzando alcuna proposta transattiva invece, i reclamati che non si sono costituiti neanche in sede di reclamo, con ciò manifestando un atteggiamento non solo non collaborativo ma financo ostativo alla tutela dei diritti del ricorrente.

Peraltro, non avendo addotto alcun elemento in ordine all’eventuale già intervenuta restituzione o distruzione deibeni plagiati, si deve presumere che le magliette oggetto del giudizio siano ancora in possesso dei reclamati nei cui confronti, dunque, deve essere disposta anche la distruzione.

All’esito di quanto suesposto, dunque, a parziale modifica dell’ordinanza impugnata, fermo restando le disposizioni in tema di descrizione e sequestro, occorre estendere nei confronti di tutti i reclamati:

  • la tutela inibitoria;
  • la distruzione dei beni plagiati;
  • l’applicazione delle penali;
  • la pubblicazione del dispositivo del

Deve invece essere rigettata l’istanza di esibizione, chiesta a carico dei reclamati, delle scritture contabili e della documentazione commerciale in loro possesso, essendo l’esibizione uno mezzo di prova tipico del giudizio di merito e di cui la parte potrà usufruire in quella sede.

 

3.     La domanda di condanna di Con ex art. 96 c.p.c.

Si ritiene infine che debba essere rigettata la richiesta di condanna di Co    ex art. 96 c.p.c. avanzata da   CP_3  a seguito dell’indicazione, in sede di comparsa di costituzione, di sentenze inesistenti, ovvero il cui contenuto reale non corrisponde a quello riportato.

A seguito delle note all’uopo autorizzate (occorre peraltro specificare come non possano essere considerate le parti inerenti al merito della vertenza inserite nella nota di replica depositata dal reclamante, essendo le note state espressamente autorizzate “sulla sola questione inerente i precedenti giurisprudenziali oggi contestati”, altrimenti ledendo il principio del contraddittorio), il difensore della società costituita ha dichiarato che i riferimenti giurisprudenziali citati nell’atto sono stati il frutto della ricerca effettuata da una collaboratrice di studio mediante lo strumento dell’intelligenza artificiale “ChatGPT”, del cui utilizzo il patrocinatore in mandato non era a conoscenza. L’IA avrebbe dunque generato risultati errati che possono essere qualificati con il fenomeno delle cc.dd. allucinazioni di intelligenza artificiale, che si verifica allorché l’IA inventi risultati inesistenti ma che, anchea seguito di una seconda interrogazione, vengono confermati come veritieri. In questo caso, lo strumento di intelligenza artificiale avrebbe inventato dei numeri asseritamente riferibili a sentenze della Corte di Cassazione inerenti all’aspetto soggettivo dell’acquisto di merce contraffatta il cui contenuto, invece, non ha nulla a che vedere con tale argomento. La reclamata, pur riconoscendo l’omesso controllo sui dati così ottenuti, ha chiesto lo stralcio di tali riferimenti, ritenendo già sufficientemente fondata la propria linea difensiva.

Sul punto, il reclamante ha rilevato l’errore di verifica della veridicità delle ricerche effettuate e, sottolineando l’abusivo utilizzo dello strumento processuale, ha chiesto la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. per aver in questo modo influenzato la decisione del collegio.

Occorre rilevare come l’indicazione di tali riferimenti giurisprudenziali sia stata posta a fondamento della tesi ab origine sostenuta dalla Co , proposta quindi a supporto di una struttura difensiva rimasta immutata sin dal primo grado del giudizio ed oggettivamente non finalizzata ad influenzare il collegio, appuntandosi piuttosto su quanto già indicato, in senso analogo, anche nelle decisioni di prime cure, in ordine all’assenza dell’elemento soggettivo della malafede dei dettaglianti, elemento sulla base del quale non sono state a loro estese le misure cautelari.

In particolare, quanto all’applicazione del comma 1 del cit. art. 96 c.p.c., in linea generale si ritiene che abbia natura extracontrattuale, poiché “richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell’an e sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa” (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 9080 del 15 aprile 2013) e, “pur recando in sé una necessaria indeterminatezza quanto agli effetti lesivi immediatamente discendenti dall’improvvida iniziativa giudiziale, impone, comunque, una, sia pur generica, allegazione della direzione dei supposti danni” (cfr. Cass., sez. II, sentenza n. 7620 del 26 marzo 2013).

In applicazione di tali principi nel caso di specie, la domanda non può essere accolta, in quanto il reclamante non ha spiegato alcuna allegazione, neppur generica, dei danni subìti a causa dell’attività difensiva espletata della controparte.

Questo tribunale ritiene del pari non applicabile il comma 3 dell’art. 96 c.p.c., la cui ratio deve individuarsi nel disincentivare l’abuso del processo o comportamenti strumentali alla funzionalità del servizio giustizia ed in genere al rispetto della legalità sostanziale; tale fattispecie deve inoltre intendersi come species dei primi due commi, per cui non si può prescindere dalla condotta posta in essere con mala fede o colpa grave né dall’abusività della condotta processuale.

Ora, fermo restando il disvalore relativo all’omessa verifica dell’effettiva esistenza delle sentenze risultanti dall’interrogazione dell’IA, Co     sin dal primo grado ha fondato la sua propria strategia difensiva sull’assenza di malafede nell’aver commercializzato le magliette raffigurante le vignette di  CP_3  elemento che poi si era già trovato nel decreto emesso inaudita altera parte eche ha trovato riscontro anche nella successiva ordinanza cautelare. L’indicazione di estremi di legittimità nel giudizio di reclamo ad ulteriore conferma della linea difensiva già esposta dalla Co  si può quindi considerare diretta a rafforzare un apparato difensivo già noto e non invece finalizzata a resistere in giudizio in malafede, conseguendone la non applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 96 c.p.c..

 

4.     Le spese di lite

Le spese di lite seguono il principio della soccombenza, per cui tutti i reclamati,

anche contumaci, devono essere condannati in solido a rifondere al reclamante le spese da questi sostenute,con conseguente revoca della disposizione inerente al

pagamento delle spese da parte di   CP_3 in favore di Contr

Quindi, le spese di lite vengono liquidate per come indicato in dispositivo, tenuto conto del valore della controversia (indeterminabile – complessità media) e dell’attività difensiva espletata (scaglione medio per le fasi di studio ed introduttiva e minimo per quelle istruttoria, essendo stata solo documentale, e decisionale, essendosi celebrata una sola udienza) sulla base dei parametri di cui al D.M. Giustizia 10 aprile 2014 n. 55, aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022.

P.Q.M.

Il Tribunale delle Imprese di Firenze, in composizione collegiale:

inibisce a tutti i reclamati di pubblicizzare, produrre, distribuire e commercializzare prodotti recanti l’immaginedelle opere di   CP_3  riproducenti il marchio italiano

denominativo – figurativo      CP_2      ” n. 302021000009920, registrato il 22 giugno

2021, di titolarità del reclamante;

ordina la distruzione di tutti i prodotti recanti l’immagine delle opere di  CP_3  in possesso di tutti i reclamati entro 7 giorni alla definitività di questa ordinanza;

fissa le seguenti penali nei confronti di tutti i reclamati:

  • € 100 per ogni prodotto realizzato e venduto in violazione di questo divieto

successivamente alla comunicazione della presente ordinanza;

  • € 50 per ogni giorno di ritardo, a partire dall’ottavo successivo alla notificazione della presente ordinanza, nella eliminazione di qualsiasi forma di pubblicità dei prodotti oggetto del procedimento;
  • € 30 per ogni giorno di ritardo, successivo alla sopraggiunta definitività della presente ordinanza, nell’ottemperanza all’ordine di distruzione dei prodotti oggetto del procedimento;

 

autorizza la pubblicazione una tantum del dispositivo di questa ordinanza, su due quotidiani nazionali, anche nella versione on line, a scelta ed a cura del ricorrente, che potrà richiederla successivamente alla definitività del provvedimento, ed a carico solidale di tutti i reclamati;

revoca la condanna alle spese a carico di  CP_3 in favore di  Controparte_1  condanna tutti i reclamati in solido a rimborsare a Parte_6  le spese di lite, che liquida in € 5.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso spesegenerali,

c.p.a. e i.v.a. come per legge. Si comunichi

Il Giudice Relatore                                                                 Il Presidente

Dott.ssa Stefania Grasselli                                              Dott. Alessandro Ghelardini

Qui trovate la sentenza

Fonte

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