Dall’Homo technicus all’intelligenza artificiale. La lezione di Massimo Cacciari: oggi non solo la natura ma anche l’uomo è oggetto della tecnica con gli interventi sul genoma”

“A me pare che siamo in un momento rivoluzionario della tecnica come sistema”, spiega Massimo Cacciari in un recente seminario. “È inutile ripetere slogan: la tecnica è più che tecnica, lo sappiamo, l’abbiamo imparato. È una macchina complessiva che ci coinvolge direttamente, fisiologicamente.

Siamo arrivati a un punto di questa storia in cui pone problemi nuovi.

Possiamo chiamarla forse con un termine che risuona in Spengler e che poi viene ripreso da Heidegger, perché il discorso che Heidegger fa sulla tecnica è totalmente compreso nel modo in cui il problema veniva già affrontato nella cultura mitteleuropea all’inizio del secolo, tra 800 e 900.

Il discorso sulla tecnica di Heidegger riprende in pieno quello che Spengler quando parlava di tecnica faustiana. È una ripresa letterale, era un milieu culturale precedente a Heidegger, ma di cui Heidegger è totalmente imbevuto, in cui si confrontava il paradigma weberiano con un paradigma antiweberiano, che è propriamente quello di Heidegger.

Quello weberiano diceva: no, tesori, fanciulli, studenti, il mondo attuale è dominato dalla scienza come professione e la scienza è l’anima della tecnica. Senza scienza pura, non vi sarebbe nulla di ciò che oggi chiamiamo tecnica. Sono i fisici e i matematici puri che sono alla base di tutte le scoperte, invenzioni, innovazioni propriamente tecniche. La scienza come professione. Nel mondo contemporaneo, se non sei scienziato, non conti niente. Questo è il paradigma weberiano. Molto semplice, nudo e crudo.

Dall’altra parte si pensa che lo specialismo della tecnica distrugge l’educazione in quanto tale. Questo fronte della cultura si divideva in un fronte propriamente filologico, la grande filologia tedesca, da Wilhelm Ritz fino a Jäger, l’ultimo grande capolavoro di questa filologia, la Paideia di Jäger.

L’Europa è perduta, si dimenticano le origini greche, il grande libro di Jäger che esce nello stesso anno in cui Hitler prende il potere, la Paideia di Jäger. Quindi, questa è una corrente filologica, e una corrente propriamente filosofica, critica dello specialismo, critica della tecnica.

Questo è lo scenario in cui dovete inserire il dibattito di allora sulla tecnica. Tecnica faustiana, quello che intendeva Spengler quando parlava di tecnica faustiana. Vedete che “Il tramonto dell’Occidente” è una miniera straordinaria di idee per quanto riguarda la nostra civiltà contemporanea europea …E anche di profezie.

Ma cosa intendeva? Intendeva sostanzialmente esattamente quello che intende Heidegger.

Entriamo in un momento in cui la tecnica svolge fino in fondo radicalmente la sua natura impositiva, tutto è reso a nostra disposizione. Le acque del Reno le vediamo soltanto come produttrici di energia… pagine e pagine di queste ideologie al cui fondo c’è l’Homo technicus, c’è sempre stato, e questo elemento impositivo dell’Homo technicus.

Basta leggere lo stasimo dell’Antigone di Sofocle per rendersi conto che non è una grande novità.

L’uomo che violenta la madre terra, la dea di tutti gli dèi, e che si salva dalla hybris connessa al dominio tecnico soltanto attraverso la politica, la regolazione politica.

Questo è il significato del grande punto su cui anche Heidegger torna spesso. Il significato è questo: la tecnica, l’uomo tecnico di per sé persegue i suoi fini di dominio sulla natura e vince tutto e apre la strada dovunque. Solo di una cosa non ce la fa: solo su un nemico non vince, la morte. Riesce a vincere, trova rimedi infiniti a tutti i mali, ma si arrende di fronte alla morte.

E come fai a governare questa hybris connessa alla tecnica? C’è solo un modo, parrebbe per Sofocle: tu abiti la polis e quindi ordini i tuoi comportamenti in base a un interesse comune. Riesci a mediare questa forza impositiva della tecnica attraverso una dimensione politica.

Mutatis mutandis, quello che si spera anche adesso, quando si chiede chi governerà questi processi, queste innovazioni. Ci saranno delle norme europee, ci saranno delle norme internazionali, ci sarà un tribunale che regola le modalità in cui queste innovazioni si producono e dilagano nella società, tutto sommato è lo stesso problema che ci poniamo ora.

Qual è la politica in grado di governare la tecnica? Come rispondeva Weber?  Le potenze fondamentali del mondo contemporaneo sono scienza, tecnica ed economia strettamente connesse, perché questo impeto dell’innovazione tecnica non può reggersi senza accompagnarsi intrinsecamente con la potenza economico-finanziaria. Cos’è Archimede Pitagorico che inventa i telefonini cellulari e i computer? Sono apparati tecnico-scientifici ed economici.

La tecnica è più che tecnica anche perché è anche economia e finanza. E diceva quindi, non ce n’è da fare, non è regolabile questo processo, le potenze sono queste. Però aggiungeva anche Weber, la politica. C’è la scienza, che significa tecnica, ma c’è anche la politica come professione. E qui c’era il problema che Weber pone, ma non risolve, di quale rapporto tra le due dimensioni sia praticabile, e quello è esattamente, secondo me, il punto a cui siamo ora.

Però la tecnica, nello stesso tempo, ha fatto un salto avanti, di questo discuteremo adesso. Dov’è il grande salto della tecnica faustiana in parte già intuito da Spengler, ma solo in parte? La tecnica non è più il coro, l’homo technicus di Sofocle, in posizione sulla natura, sulla natura esteriore. Ormai noi stessi siamo diventati oggetto della tecnica.

Tutto l’intervento sul genoma, tutto il grande problema dell’editing genomico può ormai, appunto, avere il nostro essere come suo oggetto.

E soprattutto la genetica positiva, come si usa dire, esprime qualcosa che la filosofia sapeva: la tecnica ci considera un esperimento, non qualcosa di in sé compiuto, qualcosa che deve essere manipolato, trasformato, migliorato. La malattia è una cosa a sé, che bisogna togliere dal nostro essere ed eliminare, toglierla, prima che si manifesti. Prima che si manifesti intervengo nel nostro essere, nella nostra struttura genetica ed evito e elimino la malattia. È la considerazione del nostro essere come un esperimento su cui io intervengo, migliorando il risultato. E questa è sicuramente un’innovazione strepitosa.

Chi la dirigerà? Chi porrà limiti a questo processo?  L’altra parte della filosofia, e scusate termino questo mio primo intervento con una sorta di scherzo, di battuta, ma neanche tanto, perché non solo la filosofia, ma i grandi pensatori dell’età delle macchine, come qualcuno diceva, e soprattutto i grandi profeti di ciò di cui stiamo discutendo, che sono i grandi autori di fantascienza. La fantascienza le ha indovinate tutte. E non dimentichiamoci questo: l’inventività dell’artista. Tra i grandi artisti c’è sicuramente il nostro Leopardi. Andatevi a rileggere l’operetta morale dell’Accademia dei Sillografi, di coloro che scherzano. Dice, vi ricordate, l’età delle macchine: la nostra è l’età delle macchine, dovranno venire a comprendere, oltre le cose materiali, anche le spirituali. Intelligenza artificiale, intelligenza, anche le spirituali, perché disperando la migliore parte dei filosofi di poter curare i difetti del genere umano, l’Accademia dei Sillografi reputa essere expedientissimo, cioè utilissimo, che gli uomini si rimuovano dai negozi della vita il più possibile.

L’età delle macchine mira a questo fine: rimuovere l’uomo dagli affari della vita, non solo i materiali, ma anche gli spirituali.

Le discussioni filosofiche hanno incidenza politica, si interrogano anche su ciò che è politica, però non è nostro compito insomma determinare politiche coerenti con questo tipo di discorsi. Facciamo il possibile, ma non  dobbiamo metterci a fare politica. Non avrebbe senso, sarebbe un pasticcio. Dobbiamo elaborare, tentare di elaborare una filosofia di cui noi siamo convinti potrebbe costituire un orientamento significativo anche per la prassi, che possa avere un significato trasformativo anche dei sistemi sociali, dei regimi politici in cui viviamo, ma la distinzione va mantenuta tra quello che è il rigore del ragionamento filosofico e la dimensione della praxi, nel senso classico del termine praxi in greco vuol dire azione politica sostanzialmente.

Non c’è dubbio che il salto che stiamo vivendo è significativo, non soltanto nel cosiddetto ambito esterno, ma nel nostro stesso essere. Tu dici che ogni tecnica ha trasformato… ma qui si tratta del corpo, che interviene e trasforma la tua corporeità, non solo il tuo stile di vita. Siamo davvero a un punto in cui, oltre all’intelligenza artificiale, si stanno facendo ricerche sulle possibilità di intervento, la genetica positiva e negativa, e queste sono le frontiere della tecnica che, a mio avviso, destano maggiori preoccupazioni.

Perché sull’intelligenza artificiale si può dire che ci sarà un controllo politico, si possono normare e affrontare i problemi e le contraddizioni più significative, e pensare a una politica adeguata. Ma la questione è più complicata. La questione è davvero delicatissima. Immaginiamoci la possibilità, che è concreta, di interventi che influenzano la discendenza e che entrano nell’eredità genetica, trasmettendo queste caratteristiche agli eredi.

Chi può fare questi interventi? Questo solleva un problema incredibile e le possibili disuguaglianze esplosive. Chi potrà accedere a queste terapie? Quale potere politico potrà discernere tra chi può accedere a queste terapie e chi no? Già ora ci sono problemi colossali perché ci sono terapie disponibili per la cura di alcuni mali, come i tumori, a prezzi inaccessibili.

Ci sono problemi di disuguaglianza e di controllo di un governo politico di questi processi.

Vedo una frontiera molto dura da affrontare per quanto riguarda i temi dell’editing genomico”.

Fonte

 

Related Posts