“Oggi stanno puntando tutto sull’intelligenza artificiale, ma di per sé una parte dell’intelligenza artificiale — e ogni strumento finora con software dedicato — perché il software che va a gestire, in riferimento alla gestione, l’input che viene dato dal costruttore, gli obiettivi che vengono determinati, è già anche quello dell’intelligenza artificiale. Che vuol dire che non è un’intelligenza. Io la chiamo deficienza artificiale, perché di intelligenza ha ben poco, perché sono delle istruzioni alla fine di un obiettivo, naturalmente al fine di avere un risultato che, secondo i fini in cui ho prestabilito quella strumentazione, è una manipolazione della realtà”, spiega Giorgio Marcon, consulente tecnico investigativo, perito tecnico di fama che opera in tutti i Tribunali d’Italia in materia di etilometri, autovelox e sicurezza stradale, e inventore del Riflessometro.
“Io ho una fotografia fatta con uno strumento di questo genere, finale. La vedo come finale, ma in realtà è già stata manipolata a monte. Un risultato manipolato è reato penale. Allora, qui poi le può parlare anche il Grandel Capozza, però io sto dicendo che oggi tutte le strumentazioni che vengono utilizzate, perfino i sanzionatori di qualsiasi tipo, anche quelli per l’esame del sangue, sono tutte strumentazioni che possono essere manipolate, tant’è che il risultato dell’esame del sangue può essere anche inserito dentro manualmente o corretto manualmente. Quando uno strumento è manipolabile, non è uno strumento di misura legale, è uno strumento di statistica, di prova, che fa un’azione per dire: facciamo un esperimento per vedere che risultati mi dà facendo questo o facendo quello, ma non che possa essere un risultato legale quello che ne emerge. Allora è per questo che dobbiamo lottare e far sì che questi strumenti, se mancano di questa certificazione legale — che è quella che ne determina anche la certificazione del software — non possono essere accettati.
“La prova legale dell’infrazione deve derivare da un’apparecchiatura omologata, che in realtà è certificata metrologicamente legale, che dia una misura certa ed accertabile a fronte di normative internazionali e nazionali”, continua Claudio Capozza, massimo esperto di metrologia legale, per 43 anni ispettore di metrologia legale alla Camera di Commercio di Milano.
“A fronte di questo vuol dire che lo strumento deve essere verificato, soprattutto il suo software di gestione dell’apparecchiatura, perché è il software che gestisce il risultato dello strumento. E questo software invece, in realtà, è manipolato e manipolabile a seconda degli obiettivi che si deve ottenere con lo strumento. La gravità è questa, che lo capisce ormai anche un bambino, che tutti questi strumenti non servono per fare sicurezza stradale, ma servono solamente per fare cassa. Ed è vietato dalla legge fare cassa a fronte di un obiettivo chiamato ‘per conto della sicurezza’, perché è un alibi per utilizzare uno strumento illegale. L’illegalità di questi strumenti deriva dal fatto che vogliono avere un risultato, anche se non è vero: basta avere un risultato.
Porto un esempio: se io vado dal macellaio a comprarmi due fettine di prosciutto e vedo che nella bilancia c’è scritto un chilogrammo, dico: beh, non mi sembra possibile che siano un chilogrammo le due fettine. Dico: me le pesi sull’altra bilancia? L’altra bilancia pesa dieci chilogrammi. Me le provi su un’altra bilancia ancora e mi pesa quarantacinque chilogrammi.
C’è un divario enorme da una all’altra, ma è quello che succede mettendo a confronto gli strumenti che vengono utilizzati, tra virgolette, ‘per conto della sicurezza stradale’. Cioè, danno risultati talmente empirici, talmente — diciamo — distorti dalla realtà che dovrebbero rilevare… cioè, come ho detto prima: un metro elastico non è una misura, è semplicemente un elastico che si tira da un angolo all’altro in base a quanto io voglio tirare e determino praticamente una misura.
Mi parlava il perito Marcon di essere in corso in via incidentale di fronte a una situazione che è gravissima, consistente nell’aver accertato la violabilità dello strumento di misura attraverso la manipolazione del software. In tutti gli strumenti di misura, in tutti gli strumenti di misura, in tutti gli strumenti di misura — ormai, Carlo Armando — strumenti di misura meccanici, tolto il metro, il resto sono tutti strumenti elettronici.
Lo strumento elettronico funziona allo scopo di determinare una certa grandezza fisica — una velocità, che è una grandezza derivata, il tasso alcolemico, oppure altre grandezze — attraverso uno strumento elettronico. Lo strumento elettronico è un hardware, ma in realtà il suo modo di funzionare non dipende tanto dalla bontà di costruzione dell’hardware quanto dalle istruzioni che il software impartisce allo strumento in conseguenza di determinate situazioni.
Il software è una lista di istruzioni che dice allo strumento come deve reagire e come deve funzionare nel momento in cui deve andare ad accertare la grandezza che a me interessa. Ora, è evidente che gli strumenti siano tutti software-dipendenti. Per cui, se io modifico il software, innanzitutto una regola generale mi dice che devo avere la certificazione del software attraverso il riscontro della firma digitale. In senso tecnico-informatico si chiama hash a 256 bit, che è la firma elettronica — come quando lei mette la firma digitale sotto un documento da lei redatto.
Lei lo sa che, nella stragrande maggioranza dei provvedimenti, i software vengono identificati attraverso una sigla identificativa. Si parla di uno strumento denominato versione software 2.251.3, come se la sigla venisse a far stato del suo contenuto. Le faccio un esempio: lei prende il libro Cuore, sulla copertina c’è scritto “Cuore”, all’interno c’è il testo.
Se lei toglie l’insieme delle pagine che costituiscono il libro e lo sostituisce con i tre cantici della Divina Commedia, rimette tutto a posto, chiunque la vede dall’esterno pensa di avere a che fare con Cuore. Lei scopre che invece è la Divina Commedia nel momento in cui apre il libro. Il software è in quelle condizioni. Come può far stato del contenuto una semplice sigla identificativa?
Ma questo lo capiscono — non dico i bambini — ma uno che ha un minimo di buonsenso. Io prendo un software, gli cambio il titolo, gli lascio la sigla, dentro… nei software basta cambiare una riga di programmazione e l’apparecchiatura fa tutt’altra cosa.
Mi viene in mente adesso — perché ho visto nel corso delle notizie da Imola oggi, in basso allo schermo — gli evidenti che l’FBI ha deciso di sottoporre alla macchina della verità i dipendenti, per testare la loro lealtà. Anche la macchina della verità è uno strumento, un’apparecchiatura che in qualche modo ha queste caratteristiche di cui sta parlando lei?
Certo. Tutti gli strumenti a microprocessore, quindi con una CPU, hanno bisogno — per poter funzionare — di un insieme di istruzioni che costituiscono il software che viene impiegato. Se lei quel software lo cambia, quella macchina da un punto di vista esteriore, cioè sotto l’aspetto hardware, si presenta come la macchina regolare.
Infatti, nei certificati di approvazione ministeriale delle Imprese e del Made in Italy, lei ha un decreto ministeriale di ammissione alla verificazione dove c’è la descrizione dell’apparecchiatura, della sua destinazione d’uso, gli schemi a blocchi dell’apparecchiatura e la sigla del software impiegato.
Ma i dispositivi utilizzati dagli organi per l’accertamento delle infrazioni — per esempio dei limiti di velocità — io non ho visto un provvedimento che abbia una conformazione di questo tipo”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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